Il parto di Stefania

Scritto da admin il 17 apr, 2011 in Il mio parto, Piccole impronte | 1 commento

Sta suonando una campana lontano, un unico rintocco: è l’una di notte ed io sono qui sveglia come capita spesso negli ultimi tempi.

Ma oggi è diverso, il risveglio non è stato dolce, un leggero batter d’ali che nell’immobilità del sonno ti chiama alla veglia. No, è stato piuttosto uno scossone, una specie di terremoto interno.

Nella mia istantanea lucidità mi chiedo che cosa stai facendo…… come mai Giulia ti stai muovendo in modo così deciso? Sembra che improvvisamente lo spazio a disposizione non ti basti più, che le tue manine e i tuoi piedini vogliano riconoscere per l’ultima volta le elastiche pareti che ti hanno accolto.

Poi ti fermi e tutte queste domande riprendono la dimensione del sogno, lasciano una sensazione di attesa di un evento che è imminente ma che non è ora. Ed ecco arrivare un nuovo segnale, l’utero si contrae e la contrazione è accompagnata da un leggero dolore al basso ventre che come uno schiaffo mi richiama nuovamente alla realtà e all’azione….ed io inizio a respirare profondamente, lentamente, per alcuni secondi fino a che il corpo si rilassa e si pacifica. Quando dopo un ventina di minuti la contrazione si ripete, capisco che qualcosa di diverso si è attivato. Probabilmente sono solo segnali preparatori perché tu cara Giulia avevi la testina piuttosto alta fino a due giorni fa quando Polina mi ha visitato. Quindi decido di cavalcare queste prime onde dolorose con estrema serenità e senza
allarmare mio marito che riposa ignaro al mio fianco. Dopo qualche ora sento il bisogno di appartarmi e mi trasferisco nella cameretta di Andrea che ovviamente lui snobba preferendo il
lettino accanto ai suoi genitori. Nella solitudine e nel silenzio inizio a prendere coscienza che il travaglio si è avviato e pur non rendendomi conto di quale fase stia attraversando conosco chiaramente l’epilogo dell’avventura che ho intrapreso: la tua nascita. Mentre tento di controllare il dolore, di lasciarlo percorrere le mie viscere con il minimo delle ripercussioni, capisco il potere e il mistero del respiro che gonfia la mia pancia trasformando la tensione in una sorta di piacere. E così proseguo fino alla mattina quando insieme alla luce arriva la notizia per coloro che mi dovranno sostenere, il marito, le ostetriche e i familiari (ognuno con il proprio ruolo predefinito) che Giulia ha deciso di venire al mondo. Sono le nove e mi ritrovo improvvisamente sola, Massimiliano è andato allo studio per prendere congedo dal lavoro, Andrea passerà la giornata con i nonni, Polina e Maria non sono ancora arrivate, tutti gli altri sanno benissimo che devono rimanere alla larga! A differenza di questa notte mi pesa questa solitudine, c’è come un abisso di paura, un pozzo buio e ignoto nel quale rischio di cadere e non so cosa mi può succedere se la presenza di persone care non mi richiamera’ alla vita. E finalmente chi ho scelto come compagno di questo viaggio è qui con me ed io posso lasciarmi trasportare dal mare in tempesta delle mie acque senza più perdere di vista il faro laggiù lontano
del mio obiettivo finale: accogliere mia figlia. Le contrazioni così diventano improvvisamente serrate, intense e le pause sempre più brevi, ma anche più efficaci nel farmi riprendere fiato. Rimango in piedi, mi muovo e mi appoggio, mi piego su me stessa quando il dolore mi raggiunge, mi percorre fino ad abbandonarmi vigile nell’attesa della prossima ondata. Polina mi propone di provare la piscinetta con l’acqua calda che si è portata da casa. Io sono perplessa perché mi sento albero che inizia ad approfondire le sue radici nella terra ed ho paura di sprofondare senza sostegno, ma nello stesso tempo vengo attratta dall’acqua che può avvolgerti e abbracciarti in modo intimo e completo. Ecco che provo, ma in due contrazioni capisco che quello non è il mio elemento e torno a voler sentire la gravità sul mio corpo. Alcune ore dopo le contrazioni iniziano ad essere accompagnate dal bisogno di spingere ed io sento il bisogno di non spostarmi più da quello che sembra abbia scelto come luogo del mio parto: il mio divano. Non essendo certa che la fase espulsiva sia veramente iniziata chiedo a Polina se sia il caso che mi visiti, ma lei mi fa una semplice domanda: “Vuoi?”. No non lo voglio, desidero solo continuare la mia cavalcata senza fermarmi, senza perdere il ritmo e così non le rispondo e vado avanti. Poi Giulia inizi a scendere, ad avvicinarti all’uscita e il mio bacino si allarga, i miei tessuti si aprono ed io sento schiantarmi dentro in un calore che mi brucia. Massimiliano mi sostiene per le braccia e mi impedisce di scappare, mi trattiene nell’impegno che ormai mi appartiene. Maria mi dice di lasciarmi andare, di fare uscire dalla mia pancia l’urlo che mi sento crescere dentro. E così faccio, la mia voce cambia, sembra non appartenermi, è l’urlo di un animale che sa quali suoni emettere per comunicare ciò che l’istinto gli ha insegnato. E nel giro di due spinte sento che la tua testolina è ormai fuori, percepisce l’aria per la prima volta. Tu già ti agiti e con una nuova spinta il tuo corpo scivola nella sua nuova vita, qui sulla Terra, ancora legato alla mia placenta dal cordone ombelicale, ma già nel germe di tutta la tua individualità che noi ci apprestiamo a conoscere.
Stefania Bottega

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