Asilo nido e poppe: storie da raccontare

Scritto da Tiziana Fustini il 18 mag, 2011 in Per i neo genitori | 5 commenti

Sono un’educatrice di asilo nido e lavoro nel territorio pisano dal 1978. Un periodo molto lungo, che mi ha permesso di conoscere tante famiglie ed anche tante colleghe. Insieme a loro ho vissuto le problematiche e i vari cambiamenti che circondano il programma dell’inserimento dei bambini piccolissimi al nido. Mi hanno particolarmente stimolata le tematiche della nascita e una personale riflessione sui saperi dell’educatrice e sulle buone prassi pedagogiche indicate per l’accoglienza di un bambino[1] di pochi mesi, ancora intimamente legato alla sua mamma. Le ipotesi che si possono fare intorno a quest’argomento stanno animando un vivace dibattito tra gli esperti di educazione, compresi i genitori.

Il nodo da sciogliere è se esiste davvero la possibilità per tutte le mamme che lo desiderano di continuare ad allattare i loro bambini anche quando rientrano al lavoro e frequentano l’asilo nido. 

Il progetto sociale e culturale del nido si trova, così, a fronteggiare una domanda nuova da parte delle mamme che chiedono di essere capite ed aiutate quando il loro bambino deve essere lasciato anche se ciuccia ancora al seno. Secondo il mio pensiero l’asilo nido rappresenta un ponte di continuità con la nascita, considerato che il primo anno dopo il parto è il periodo dell’esogestazione, e lo svezzamento si deve consolidare. Di conseguenza, molti bambini arrivano al nido che ancora sono allattati al seno e spesso alle educatrici manca una formazione adeguata e riferimenti istituzionali, che le aiutino ad affrontare con professionalità e competenza questa nuova realtà. L’ingresso del bambino lattante al nido può essere ancora molto sostenuto da un terreno di aspettative legate a credenze ed abitudini della cultura di provenienza e poggia su spinte emotive più o meno inconsce, che condizioneranno i comportamenti e le scelte degli adulti. Le esperienze della propria infanzia influenzano ed orientano i comportamenti e prefigurano le idee sull’infanzia e sulla maternità. Mi piacerebbe cercare di dare voce e parole ai sentimenti ed alle emozioni delle mamme e delle educatrici coinvolte in questo scenario, aiutandomi con le testimonianze che generosamente mi hanno lasciato durante i nostri incontri.

Decidere di portare il bambino al nido non è un evento banale, soprattutto se ancora “in fasce”.

In questo caso, la decisione è sicuramente connessa alla necessità di rientrare al lavoro ed è facile capire che sarà senz’altro vissuta come una forzatura. Per le donne il rientro al lavoro rappresenta un pensiero fin dal periodo della gravidanza: “Come farò ad organizzarmi?” “E se allatto ancora?” “Avrò il posto al nido?” “Il mio bambino piangerà?” “Troverò personale competente e sensibile che sappia occuparsi di lui e capire i suoi bisogni?” “Come faremo a separarci?” “E se avrà bisogno di me?”. Di tutte le domande quella che assumerà maggiore importanza dopo la nascita sarà relativa alla separazione ed al mantenimento dell’allattamento. Diventa difficile accettare di stare lontano dal proprio bambino ancora neonato, affrontare un distacco fisico, psicologico ed emotivo in un momento in cui sembra che tutto sia legame, attaccamento, unione, abbracci, intimità, puppa e coccole. Quando il bambino è allattato al seno la separazione da lui assume sfaccettature ancora più profonde e coinvolgenti.. infatti, nei primi 2/3 mesi si concentrano le maggiori difficoltà nell’avvio dell’allattamento e dell’intesa reciproca. Dopo questo periodo gli ostacoli cominciano a rimuoversi, le tensioni si allentano, i ritmi sui bisogni normalmente sono ben avviati e l’accordo che scorre tra il bambino e la sua mamma, quando tutto procede bene, caratterizzerà il loro rapporto facendoli sentire in sintonia.

COSA SI POTREBBE FARE?

Questa breve carrellata di esperienze vissute ci fa capire le mille difficoltà che si incontrano nel gestire equilibri interni rispettosi sia delle necessità organizzative del nido sia delle varie esigenze dei genitori e dei loro bambini. Soprattutto, si può dire che ancora non esiste un discorso proficuo su quest’argomenti che possa costituire una guida adeguata per le decisioni da prendere. Anche quest’anno, al nido dove lavoro, una mamma ha chiesto di slittare la data d’inserimento perché ancora allattava a richiesta, ma non esistono leggi o “piani di accoglienza” per tutelare questa domanda. Ci siamo informate contattando anche siti internet specializzati, ma senza avere risposte precise. La disponibilità personale a trovare degli espedienti per coniugare le esigenza della famiglia e dell’istituzione non può bastare, anche perché rimane una pratica sommersa che non restituisce la giusta visibilità all’intervento professionale. Non offre nemmeno spinte o garanzie per l’avanzamento che potrebbe fare l’asilo nido come luogo di sostegno e di supporto per il Divenire Genitori. In effetti, l’educatrice sta assumendo sempre più un ruolo di consulente educativa, che pur lontano da funzioni specialistiche precise (psicologo, assistente sociale, ostetrica,..), dialoga continuamente con i temi e le problematiche della quotidianità poste dai genitori. Compresi quelli “specie/specifici” dei primi mesi di vita. Credo che, a questo punto, gli indirizzi istituzionali e pedagogici che governano il servizio dovrebbero contemplare interventi diversi e maggiormente rivolti al periodo della nascita e del primo legame d’attaccamento. La formazione delle educatrici sarà il primo scalino da cui partire.

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