Elio va al nido

Scritto da admin il 4 mag, 2011 in Essere genitori, Piccole impronte | 9 commenti

Devo premettere che la mia condizione, per molti versi può dirsi “privilegiata”, anche se questo “privilegio” è frutto di scelte personali non sempre facili né prive di conseguenze.
È estate e con la mia amica e “collega” (insegniamo yoga nello stesso centro) stiamo facendo il piano dei corsi per l’anno prossimo. Elio ha sedici mesi e fino ad ora è stato con me durante il giorno e con il suo babbo dal tardo pomeriggio a sera inoltrata. Io ho ripreso un numero limi- tato di corsi serali fin da quando lui aveva sei mesi, e Guido, avendo un’attività in proprio, ha potuto anticipare l’ora del suo ritorno a casa. In questo modo io ho potuto fare la mamma quasi a tempo pieno e Elio si è potuto godere anche il suo babbo. Quella che sulla carta potrebbe sembrare un’organizzazione perfetta, nella pratica ha portato me, che ancora allatto e che la notte dormo poco (Elio continua ad avere frequenti risvegli notturni), a dei momenti di grande stanchezza e anche la coppia è stata messa a dura prova perché durante la settimana praticamente io e Guido non ci vediamo mai.
Sono lì che faccio il piano dei miei prossimi impegni, quando suona il telefono: mi comunicano che da settembre Elio è stato preso al nido convenzionato! Eravamo nella lista di attesa, ma mi avevano detto che era improbabile che si libe- rasse un posto prima della fine dell’anno. Invece diversi bambini hanno rinunciato perché sono stati presi al nido pubblico e il posto c’è. Mi sale una commozione da non credere: rido e piango allo stesso tempo. Rido perché sono contenta per Elio, penso che sarà per lui una bella oppor- tunità di crescita. Piango perché mi sembra che questa cosa lo faccia diventare improvvisamente “grande” e invece io lo sento e forse lo voglio ancora piccolo.
Questi sentimenti contrastanti continuano ad alternarsi in me nelle settimane seguenti. Provo a chiarirmi le idee leg- gendo in qua e in là e confrontandomi con altre mamme, ma alla fine prendo la decisione di vivere questo momen- to come viene, senza teorie e senza preconcetti. Soprattutto voglio lasciare che anche Elio abbia la sua “voce in capitolo”: è cresciuto tanto in quest’ultimo perio- do e sono sicura che saprebbe comunicarmi in qualche modo il suo malessere se per qualche ragione non si trovasse bene. Con questo stato d’animo porto Elio alla sua “scuolina” il primo giorno. La sua reazione è buona, la mia pure. L’ambiente mi piace, le tre tate sono in gamba, i bambini sono solo quindici, c’è una musica rilassante di sottofondo. Sto nel corridoio, Elio mi sta in collo, vorrebbe la puppa ma mi hanno consigliato di non dargliela quando siamo qui e questo mi va bene. Ogni tanto una tata si affaccia e attira la sua attenzione con le bolle di sapone e una cesta piena di giocattoli. Piano piano Elio inizia ad incuriosirsi e dopo una mezz’oretta scende e si mette a giocare nel corridoio, dopo un altro po’ entra in una stanza a vedere che succede. Io sono lì, alla sua porta- ta, quando vuole viene da me, a volte monta in collo, a vol- te si contenta di una carezza e di qualche parola. Secondo giorno. Più o meno stessa scena, però ci mette meno tempo ad allontanarsi. Comincia anche ad avere qualche interazione con gli altri bambini. Terzo giorno: mi allontano per una mezz’oretta e lo ritrovo piangente. A questo punto riscatta il conflitto dentro di me: che mamma sono che se ne va in giro a guardar vetrine mentre il suo bambino se ne sta con delle estranee in un posto che non conosce?!!! Oltre tutto ho notato che molti bambini piangono disperati quando vengono portati, sia i nuovi che anche alcuni dei “vecchi”… sarà giusto lasciarlo in questa “valle di lacrime”? Fine della settimana. Quella seguente facciamo un passo indietro e questo avviene magicamente, senza che debba nemmeno parlare con le tate. Passo due ore con Elio che va e che viene, ho bisogno anche io di fare una specie di regressione. Mi sembra che anche una parte di me venga “inserita” da qualche parte. Sono tranquilla. Elio pure. Ricominciamo piano piano l’allontanamento progressivo, questa volta in maniera più dolce. Una volta il mio giro si allunga fino a ripassare da casa, mi sento strana: che ci faccio io qui senza il mio bambino? Torno e lo trovo benissimo. Sono quasi delusa. Allora io non servo più a niente? Quanti sentimenti! Ogni tanto il conflitto risorge, a volte più violento a volte meno, dentro di me. A volte mi sembra per lui una bella oppor- tunità avere uno spazio a sua misura dove giocare con altri bambini, soprattutto pensando all’inverno, alle lunghe giornate fredde e piovose, e anche una bella cosa per me avere del tempo per preparare le lezioni, fare le cose in casa senza fretta o anche solo rilassarmi un po’. Altre volte mi sembra quasi un “delitto” lasciarlo lì, mi dico che se fossi una “buona madre” dovrei tenerlo sempre con me e mi sento incombere addosso una specie di “punizione”. La realtà è che dopo un’interruzione di quasi venti giorni che io e Elio abbiamo passato al mare (la stagione è bellissima), ho riportato Elio dalle tate e la sua reazione è stata buona. Questa volta tutti gli altri bambini sono già inseriti, così nessuno piange e tutta l’attenzione di una delle tate può essere su di lui. Abbiamo di nuovo fatto un passo indietro, ma non è stato come iniziare da capo, e un bel giorno lui piangendo si è buttato in braccio alla tata senza che io avessi ancora varcato la porta d’ingresso. Il suo gesto era chiaro: voleva andare, ma non ha represso in alcun modo l’emozione legata al doversi separare da me. Nei giorni seguenti ha manifestato in modo sempre più evidente di voler mangiare con gli altri bambini, così l’ho lasciato anche per il pranzo, allungando in maniera dolce il tempo della sua permanenza. Quando lo vado a prendere è contento e sorridente e io non mi sento più “in colpa”.
Una cosa importante è che posso portarlo e andarlo a pren- dere quando voglio e posso mandarcelo alcuni giorni della settimana ed altri no. Quando è bel tempo ce ne andiamo a spasso. Mi piace questo compromesso che abbiamo trova- to, sento che ci stiamo bene tutti e due. Per qualche tempo ho sentito che il nostro vecchio equilibrio si era rotto, e questo ha portato anche un po’ di dolore e qualche conflitto tra noi; adesso sento che abbiamo trovato un equilibrio nuovo, tra di noi c’è più spazio ma il legame è saldo.
Da subito ho sentito una profonda attinenza tra questa esperienza e il percorso del travaglio e del parto. È come se la “separazione originaria” dei nostri corpi si fosse riproposta, con tempi e modi simili, in questa nuova tappa del percorso di Elio verso l’indipendenza. Come duran- te il travaglio, è stato importante rispettare i suoi e i miei tempi; come durante il travaglio, l’attenzione, la compren- sione e la disponibilità delle persone che ci hanno accom- pagnato è stata fondamentale; come durante il travaglio, tutto è stato graduale, sfumato e “dolce”; come durante il travaglio, una piccola interferenza esterna (in questo caso il fatto che gli altri bambini piangessero) ha “bloccato” le cose per un periodo di tempo che io ed Elio abbiamo rite- nuto “giusto”; come durante il travaglio, quando ce la sia- mo sentita abbiamo “ricominciato”; come durante il trava- glio, accettare tutto quello che provavo senza censurare nulla mi ha aiutata enormemente.
Come durante il parto, tutto è avvenuto da sé, come durante il parto, ci sono state le lacrime e la gioia, come durante il parto, alla fine tutto è stato “perfetto”.

di Valeria Trumpy
Pubblicato su Piccole Impronte, marzo 2007

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