Vi ricordate il libro “Avere o Essere” di Erich Fromm? Questo profondo conoscitore dell’anima umana nel suo scritto degli anni ’70 descrive due fondamentali modalità di esistenza, due diverse maniere di atteggiarsi verso se stessi e nei confronti del mondo. La modalità Avere ci spinge verso il possesso, verso l’avidità, verso il dominio, la proprietà acquisitiva. Ci fa diventare autoritari invece che autorevoli, irrigiditi nelle teorie invece che liberi nel pensiero. E sopratutto ci fa amare di un amore condizionato, possessivo, geloso.
La modalità Essere ci spinge a rinnovarci, a crescere, ad espanderci. Ci fa amare di un amore incondizionato, misericordioso e compassionevole. Ci fa trascendere il carcere del nostro io isolato, ci fa provare interesse, essere generosi, ci stimola l’ attenzione.
Fromm ci indica una direzione: mentre tutto il nostro sistema socio-economico ci spinge verso l’Avere, egli ci invita ad rimanere nell’Essere.
Come possiamo estendere questi concetti all’accoglienza del neonato?
È indubbio che la modalità del bambino, sia durante la vita prenatale, si alla nascita, è quella dell’Essere. Non si tratta di non avere relazioni con gli oggetti, perché già nella vita intrauterina il bambino si relaziona con l’utero materno, con la placenta, con il cordone ombelicale, i suoi primi giocattoli. Anche i suoni, gli odori, il movimento, il respiro e le emozioni materne entrano a fare parte del suo bagaglio vitale.
Dopo la nascita, da subito, è il corpo della madre con il suo odore, il suono della sua voce, il suo ambito vitale. Con il seno, che sostituisce la placenta. Con le braccia che sostituiscono l’utero. Con l’occupazione materna che sa soddisfare quasi tutti i bisogni, la stessa madre diventa il più desiderabile degli oggetti.
Ma non si tratta di possederli, questi oggetti. Si tratta di essere, anzi di rimanere continuamente in relazione, di essere con e nell’esperienza, un’esperienza di unione e di separazione, di continua reinterpretazione del mondo che dà adito a un gioco, base per la futura creatività.
La comunicazione non avviene tra ciò che madre e bambino hanno ma tra ciò che sono. Quando una madre prepara una bella camerina per il suo bambino che sta per nascere, quando lava e mette in ordine i suoi vestitini, quando sistema il fasciatoio e il bagnetto, sembra che dia importanza a questi oggetti di per sé. Sembra che debbano loro, gli oggetti, essere belli, perfetti, costosi, i migliori. Ma non sono questi oggetti importanti, bensì i pensieri, le fantasie, i sogni e le azioni che stanno dietro il gesto. Il bambino non desidera Avere la camerina, desidera Essere in essa. Desidera Essere nel cuore, nella mente e nelle azioni di sua madre e delle persone che si prenderanno cura di lui.
E forse anche noi lo desideriamo. La nascita di un bambino, può, forse essere anche per noi un occasione per abbandonare per un po’ il nostro mondo adulto di consumatori dell’Avere e spostarci, con il nostro bambino, in quello magico dell’Essere.
Polina Zlotnik