Mi hanno sempre lasciato addosso brutte sensazioni gli ospedali: come pensare che potesse essere proprio un ospedale il posto migliore dove accogliere un nuovo arrivato? Quando io e Lucia ci siamo trovati a dover immaginare come volevamo accogliere il nostro cucciolo siamo partiti dalla consapevolezza che nelle abitudini del nostro mondo ricco e tranquillo c’era qualcosa che non andava. Per me nel corso dei nove mesi questa unica certezza ha preso sempre più forma, soprattutto grazie a Lucia, nella quale ho visto crescere l’istinto materno, ho visto cambiare il suo corpo per accogliere il cucciolo e piano piano l’ho visto prepararsi a darlo alla luce; ho visto crescere lui, l’ho sentito muovere, l’ho sentito vivo e ben presto comunicare con noi… certamente prima di tutto con la sua mamma e attraverso lei (e grazie a lei) anche con me. Insomma, la gravidan- za ha seguito il suo percorso naturale, magari non sempre semplice… ma anche nei momenti difficili ha trovato naturalmente le sue strade.
Dopo avere vissuto così la gravidan- za non potevo immaginare Lucia stesa su un lettino mentre altri tiravano fuori il piccolo… e io a guardare… o, peggio, fuori a fumare e a tranquillizzare parenti e amici per telefono.
E così piano piano, incerti fino all’ultimo se andare nell’ospedale meno medicalizzato di Palermo, dove avremmo potuto scegliere per un parto in acqua, ci siamo sempre più avvicinati all’idea di partorire nella nostra casa… ma solo verso la fine questa idea ha preso concretamente forma, grazie anche all’aiuto e all’immensa disponibilità di chi ci ha poi accompagnato e assistito. Questa scelta, che molti in seguito hanno definito coraggiosa ma che io (noi) ho vissuto come naturale, mi ha permesso di partecipare alla nascita del nostro piccolo cucciolo… e mai avrei potuto immaginare un’espe- rienza così incredibile… si! Proprio partecipare è stata la cosa più incre- dibile: aiutare Lucia a provare una nuova posizione, sistemarle i cuscini, sorreggerla, semplicemente darle un po’ d’acqua o farle coraggio con semplici parole. Non stavo lì a guardare, ma ero parte di quello che stava succedendo.. completamente immerso: per l’intera durata del parto i miei bisogni non avevano voce, esistevano solo Lucia e il piccolo. Ma nonostante cercassi di fare il pos- sibile per starle vicino, la sensazione era che niente si poteva e doveva mettere tra lei e il piccolo, erano loro a dover trovare il loro equilibrio e le loro forme. E certo è una attività non da poco! Anche questo mi ha sorpre- so: è impegnativo per una donna dare alla luce un bambino! attingere a tutte le proprie energie, arrivare al limite massimo dello sforzo… e poi come d’incanto tutto si placa… appa- re lui che piano piano si fa spazio verso la luce (in realtà solo due candele!)… e io sono lì a fare la mia parte… lo vedo mentre sorreggo Lucia durante le ultime contrazioni… vedo la testa che appare, ma poi ritorna un po’ indietro… poi di nuovo sempre un po’ di più.. e poi d’un colpo eccolo li! Subito tra le braccia della sua mamma, attaccato al suo seno.. enor- me emozione! Tagliare il cordone e poi tenerlo tra le mie braccia… tra me e lui nessuna infermiera, nessun medico… Non avevo mai tenuto un neonato tra le braccia e la paura che immaginavo pensando a questo
momento scompare all’improvviso; tutto viene da sé, naturale, senza nessuna forzatura o imposizione. Non sono spettatore di quello che altri fanno a mio figlio, anch’io sono lì ad accoglierlo, a trasmettergli il mio calore, le mie emozioni… sono lì a iniziare con lui un cammino di reciproca conoscenza.
Non riesco a immaginare tutto questo in un posto che non fosse la nostra casa; poterci mettere nel nostro letto con il nostro piccolo, dopo le enormi emozioni (e la fatica) della giornata… E poi… il primo risveglio: lui che ci guarda, prima la sua mamma, poi me… sento che ci riconosciamo… Ecco che iniziamo a goderci il primo giorno in tre, il primo panno, il primo bagnetto… chi avrebbe potuto fare al meglio tutto questo se non io, il suo papozzo? Grazie.
di Michele Puccio
da Piccole Impronte giugno 2006