Epopea della coscienza nella scelta su come partorire
Nell’ambito della discussione su parto, nascita e, più in generale, sull’esperienza della gestazione non esiste solo il massiccio problema della medicalizzazione esasperata da parte di medici e strutture, ma anche, seppur in minima parte, quello più sottile del rischio ideologico nell’approccio cosiddetto “naturale”.
In questo termine, oggi così abusato e inflazionato in ogni campo, possono rientrare, per quel che riguarda la gravidanza, aspetti molteplici: dal depennamento degli esami di routine alla scelta di partorire in acqua, dall’affidarsi all’ostetrica in luogo della ginecologa, al partorire in casa, dall’abolizione dei farmaci al parto non assistito…
Personalmente ho sempre nutrito un certo fascino per l’idea del parto in casa. Quando nella mia vita la gravi- danza rappresentava ancora un’im- magine proiettata in un futuro lonta- no discutevo amabilmente del parto in casa come la soluzione migliore, la più adeguata al completamento idea- le di una certa visione del mondo. Rappresentava una situazione tal- mente perfetta per dare alla luce, che tutt’intorno a quest’esperienza doveva esserci perfezione: praticamente una fiaba, un mondo incantato, o meglio un’architettura puramente intellettuale che difficilmente rispon- de alla quotidianità.
Infatti, pur facendomi interprete partigiana di quest’ottica, pensavo che comunque non sarebbe stato il mio caso, c’erano troppe cose che ritenevo imperfette: dall’ambiente domestico molto caldo e accogliente ma, proprio per questo, poco pratico ed efficiente, alla presenza di un vicinato confusionario e invadente, la cui semplice esistenza mi avrebbe impedito di concentrarmi su me stessa proprio in un momento esistenziale così magico… Quindi l’opzione sarebbe stata per un parto naturale, ma in una struttura che ti “ripara” dal mondo; dove tutto ciò che di abominevole può avvenire durante il parto (dalle urla agli escrementi) è contemplato perché quel luogo è fatto apposta per accoglierlo.
Quando la gravidanza da elemento di pensiero è diventata solida realtà ho cominciato giocoforza un percorso informativo che, passando dalla farmacia, attraverso il medico curante, ha annaspato alla ricerca di un riferimento ginecologico per approdare al distretto sanitario. Per i primi tempi la sensazione è stata di solitu- dine, ignoranza, distanza da un evento che credevo avrei sentito più “mio”. I consigli e le chiacchiere “per sentito dire”non erano poi più confortevoli. Risultato: ho smesso di parlare del mio stato in luoghi tipo: parrucchiera, dentista, lavoro… Gradualmente, poi, il percorso informativo è divenuto conoscenza. Il mio compagno ed io abbiamo smesso di vacillare tra le letture più disparate sull’argomento e la scansione dei tempi medici, affidandoci sempre più al nostro sentire. In principio appare come un’enorme responsabilità, ma proprio questa volontà/necessità di autogestione del corpo, tuo e della tua creatura, del pensiero e delle scelte da fare conferisce al momento dell’attesa un senso di consapevolezza, maturità e pienezza che si dipana lungo l’arco dei mesi successivi fino al parto (e posso solo immaginare il significato di tale sfida in seguito, quando la creatura dovrà essere curata, nutrita, vaccinata…) Questa fiducia ci è stata infusa in gran parte dalla partecipazione agli incontri pre-parto che abbiamo cominciato a frequentare prestissi- mo, dal confronto con esperienze di altre coppie, di quasi-genitori con timori e dubbi spesso simili ai nostri, dalla calma e dalla naturalezza con cui l’ostetrica a cui ci siamo rivolti dispensa consigli, informazioni e tutta la sua sapiente esperienza.
Pian piano tutte quelle imperfezioni che ritenevo impedissero la possibilità di partorire nella nostra dimora (la scarsa praticità della casa, l’assenza della vasca, la vicina che urla tutto il giorno…) hanno svelato il loro carattere di inaccettabilità sociale più che di difficoltà logistico-organizzativa o di reale timore per la salute, la sicurezza, la tranquillità nostre e del nascituro.
Ed è proprio dal confronto con le esperienze presso gli ospedali, anche quelli più all’avanguardia, che è nato un dubbio tutto diverso: essere capaci di accettare richieste o, peggio, imposizioni di un protocollo che potrebbe minare la nostra serenità, la nostra autodeterminazione. Abbiamo velocemente compreso come aspetti culturali totalmente slegati dal naturale corso della vita e della morte, su cui ci soffermiamo a riflettere di rado e solo in teoria, condizionino il nostro pensiero e il nostro agire a più livelli di coscienza. E in questo delirante rovesciamento delle cose, in cui la tecnologia è sinonimo di previsione, controllo quindi sicurezza, noi perdiamo la nostra capacità di sapere. Paradossalmente la nostra esperienza ci ha fatto realizzare che non basta dichiararsi ideal- mente e/o ideologicamente favorevoli al parto naturale per poterlo sposa- re con consapevolezza.
In questa sorta di processo hegeliano di tesi (dichiarazione d’intenti sul parto in casa), antitesi (comunque è un’esperienza che per ragioni esterne a me non potrò affrontare) e sintesi (al parto naturale non si giunge per induzione di qualche luminare che scrive libri o di qualche medico fana- tico che ti depenna dal libretto anche l’emocromo) siamo veramente cresciuti ed abbiamo ampliato la nostra consapevolezza su rischi, benefici, inutilità, falsi miti e ripercussioni del- la via ospedaliera (anche naturale) e di quella domiciliare sul venire al mondo e dare alla luce.
Detto questo, è proprio da tale esperienza che traiamo la conclusione che niente può essere dato per scontato e che, quindi, mantenere la lucidità nel caso che Madre Natura ci chieda di rivolgersi a un ospedale (siamo ancora al quinto mese), oltre ogni pregiudizio e ogni faziosità può essere sensato!
di Eva Maltinti