Erica ed io, amiche fin da ragazze… Vite intrecciate in più e più passaggi; quanto… tanto di condiviso ed ora anche questa esperienza: la sua gravidanza, il parto a casa, la nascita di Simone.
Quando Erica aveva iniziato a parlarmi di questo crescente desiderio di partorire a casa, sentivo come se stes- se sempre più contattando una parte essenziale del Femminile, un coraggio e una forza innata nella donna, come un “So che potrei farlo ovun- que, perché ciò che sta per accadere è quanto di più naturale”.
Sì, a casa; pensavo che fosse piccolo quel bilocale per una scelta del genere e invece quanto spazio c’era in questi giorni! Quando sono arrivata (il tardo pomeriggio del 12/1) ho trovato Erica e Dario – il suo compagno – nella camera: luce soffusa, musica morbida che sembrava accarezzare l’anima; lei col busto sul divanetto e ginocchia a terra, lui che lentamente le massaggiava la schiena…. L’inizio del travaglio era prossimo. Entrare in quella stanza era come entrare in un altro spazio, giungeva un invito naturale al silenzio, il tempo sembrava dilatarsi e l’atmosfera densa di immobilità e movimento al tempo stesso.
Pian piano contrazioni e dolore si sono fatti spazio e quando sopraggiungevano il corpo di Erica chiedeva di abbracciare un altro corpo e la sua voce usciva a formare vocali, suoni, un lamento antico che si rinnovava.
In serata è arrivata Polina, aveva appena assistito al parto di un’altra donna; la sua presenza calma e rassicurante; così come la fiducia che scorreva tra lei ed Erica. Abbiamo trascorso la notte tutti e quattro in camera, alternando veglia e riposo. Chi per terra, chi sul letto…. Ed Erica sul divano che continuava il suo viaggio.
La guardavo e dentro di me c’era solo silenzio, non c’era spazio per la mente, la percepivo come se fosse stata dentro ad un cerchio sacro e quando chiudeva gli occhi per riposare tra una contrazione e l’altra, sembrava sprofondasse dentro, sempre più dentro.
C’erano dei momenti (tuttora mi chiedo se stessi sognan- do o cosa) in cui la vedevo con un grande fiore di loto rosso sul cuore e lei come una sorta di Dea… Sola, perchè la donna in questo viaggio è davvero sola, seppur con degli amici intorno.
La luce del giorno venerdì 13 era sopraggiunta e sembra- va influire rallentando il processo. Polina partiva per un’altra assistenza (3 parti in 3 giorni) ed arriva Sofia, l’altra ostetrica.
A distanza di qualche giorno sempre più sto realizzando quanto la presenza di queste due donne sia stata davvero “presenza”: la loro modalità interamente ispirata al “non fare” ma semplicemente “all’esserci”sembra davvero lon- tana dal gran da fare che brulica in ospedale.
Ciò che sperimentavo della loro presenza era una sorta di arte dell’accompagnare, del sostenere, del rispettare i tempi e questo lasciare Erica interamente responsabile del suo percorso.
Poiché giungeva la seconda sera, rientrata anche Polina, è stata presa la decisione di praticare l’amnioressi, (rottura del sacco) quale manovra potenzialmente inducente con- trazioni più vigorose e valide per il proseguimento della
dilatazione, fino ad allora un po’ lenta. E così è andata. Di nuovo notte: vocalizzi, stanchezza, attesa, dolore, mistero, la luna oramai piena, movimenti del bacino che ricordavano la danza del ventre; poi un’altra fase in cui da Erica usciva un flusso di parole frammentate, sconnesse, sembravano arrivare direttamente dall’inconscio; la mente aveva mollato e il corpo si muoveva abitato da una propria saggezza. E ancora un’altra fase in cui il dolore più forte sembrava cessato ed era sorta un’incontenibile urgenza a spingere: “immagina di essere dentro ad un oceano, cavalca l’onda quando arriva, cavalcala fino in fondo, abbandonati al suo flusso..” Parole di Polina…sono uscite poche parole essenziali da Polina e Sofia, così come essenziali sono stati sempre i loro gesti e manovre per valutare il battito del cuore di Simone e la dilatazione. A volte mi sembrava che queste due donne fossero lì solo per aiutare Erica a RICORDARE ciò che lei sapeva già fare, solo “ricordare e fidarsi del ricordo che sapientemente affiora se ti abbandoni”. Alle 7.05 del 14/1 Simone ha fatto il suo primo respiro e qualche vagito: non luci artificiali sparate, né presa a mo’ di coniglio a testa all’ingiù, non tubi che vogliono aspirare muco da tutti i buchi, né bilance frettolose di quantificare, non taglio immediato e coatto di quel benedetto cordone… solo una morbida e calda tetta da cercare ad occhi chiusi, guidato dal suo odorato ed aiutato dall’ostetrica. Ed il gioco è fatto: Simone ha scoperto il suo nuovo mondo. Che dire se non belli, belli, belli! Tutti e due nudi, spor- chi, caldi, corpo a corpo. Con molta calma Dario è stato invitato a tagliare il cordone e… bravo Dario! Hai conte- nuto davvero bene questo spazio ed ora, finalmente puoi scioglierti in lacrime.
di Roberta Fioriti
pubblicato su Piccole Impronte, giugno 2006
Che belle parole…mi é venuta la pelle d’oca…fra un mese…toccherà a me…per la seconda volta…e questa volta senza camici bianchi attorno Grazie per la condivisione