L’inserimento all’asilo nido

Scritto da Tiziana Fustini il 18 mag, 2011 in Per i neo genitori | 251 commenti

Lasciare il bambino, separasi da lui, affidarlo alle cure di persone estranee. Altre braccia altri odori, sapori, suoni, mani diverse…. La mamma che porta il bambino al nido si trova davanti, ogni giorno, il rituale della separazione, della “perdita” del legame corporeo, fusionale che li ha cullati nei mesi passati. L’educatrice percepisce e si confronta quotidianamente con questa “frattura”, ma se è ben attrezzata psicologicamente e può contare su di una robusta conoscenza delle dinamiche della prima relazione, potrà trovare le strategie migliori per tradurla in un’occasione di crescita per il bambino e di evoluzione del rapporto con la sua mamma. Un obiettivo molto importante del fare educativo, che si realizza più facilmente quando i bambini hanno acquisito una maggiore autonomia e sono attratti anche dalle cose del mondo e dagli altri bambini

Ogni volta che il mio bambino piangeva nel momento di lasciarlo al nido sentivo gli occhi addosso delle educatrici. Marco aveva sette mesi ed ancora si attaccava al mio seno. Lo avevo detto con molto orgoglio ma avevo subito capito che non c’era condivisione da parte delle Tate. Io ero convinta che i momenti della puppa gli potessero dare più sicurezza, amore, messaggi di cose che possono essere difficili dire con le parole. Per loro sembrava essere la causa della fatica di Marco ad abituarsi al nido, a lasciarmi. Forse era così, forse era perché semplicemente Marco voleva la sua mamma, le sue cose di casa e con quel pianto mi diceva che per lui staccarsi non era facile. Ma poi giocava tranquillo e questo mi sembrava buono. Non ne abbiamo mai parlato con serenità e in maniera approfondita. Io mi sono tenuta dentro le mie ansie e penso che le educatrici abbiano fatto altrettanto. Marco è cresciuto. Ora ha due anni e mezzo ed entra al nido felice.        TERESA

Matilde ha iniziato a frequentare il nido a 15 mesi. Prendeva ancora la puppa. In realtà l’ha presa fin dopo i due anni. Naturalmente mangiava di tutto, non usava il biberon ma il bicchiere, mangiava da sola con la forchetta e camminava spedita. Per lei era giunto il momento di iniziare a fare le “sue” amicizie. Ero molto contenta di ciò, sentivo che cresceva.

Ma come fare con la puppa? Lei era abituata ad averla appena andavo a prenderla dalle nonne, era il nostro saluto, il nostro ritrovarsi dopo tante ore lontane. Secondo le tate del nido non era il caso di allattarla lì. Perchè? Forse per emanciparla, o per non turbare gli altri bambini, o forse per paura di interferire sull’inserimento…non lo so però io ho accettato di cambiare il nostro saluto e quella puppata è stata sostituita da un succo di frutta. E guai se me lo dimenticavo!!! Siamo andate avanti così per qualche settimana e poi non ce n’è stato più bisogno. Non è stato un divieto quello delle tate, ma più un accordo perchè anch’io sentivo l’esigenza di eliminare quella poppata del pomeriggio, ne restavano ancora tante!             ANTONELLA

Al momento dell’ingresso al nido gli equilibri faticosamente raggiunti si rivoluzionano e gli sforzi fatti sembrano perdere d’importanza. Molti consigliano di cominciare lo svezzamento il prima possibile, come se esistesse un’equazione fatale tra l’ingresso al nido e l’abbandono definitivo dell’allattamento. Al massimo, dicono, si possono mantenere le poppate che non intralciano con il tempo nido. A volte, questi suggerimenti vengono dati in maniera gratuita ed anche un po’ violenta, alimentando dubbi e sensi di colpa nella giovane madre. Una mamma, al momento della consegna della domanda d’iscrizione, aveva chiesto all’impiegata se poteva posticipare per un periodo l’ingresso della sua bambina al nido, visto che ancora prendeva solo il suo latte e si nutriva a richiesta. L’impiegata fu chiara e decisa nel rispondere che doveva fare una scelta, perché altrimenti avrebbe dovuto rinunciare per fare posto a chi era in lista di attesa. Ovviamente risposte così estreme sono piuttosto rare, ma spesso l’invito sottile ad interrompere l’allattamento, o comunque la denuncia delle difficoltà che esso genera in un contesto sociale come il nido, viene veicolato da messaggi impliciti che si riflettono nei comportamenti. E le resistenze possono venire anche dagli stessi genitori

La mia prima figlia, Anna, è andata al nido a 11 mesi. Ho allattato Anna a richiesta totale: quando voleva la puppa la chiedeva e io gliela davo. I primi mesi di vita in qualsiasi momento e luogo ci trovassimo. Sin dall’inizio ho considerato il nido uno spazio importante perché adatto alla sua età, uno spazio dove muoversi liberamente senza i tanti divieti e barriere architettoniche che inevitabilmente hanno le nostre case. Sin dalla nascita di Anna ho continuato a frequentare le donne del gruppo di preparazione alla nascita dell’Associazione “Le Dieci Lune” e qualche mese dopo ho frequentato il corso di massaggio infantile presso la stessa associazione. Poi abbiamo continuato a vederci, a turno nelle nostre case con Tiziana come guida. Sono stati momenti molto importanti nella formazione di me madre. A volte facevamo degli incontri anche con i papà, affrontavamo dei temi educativi, o anche solo come occasioni di socializzazione. Speravo che il nido avrebbe un po’ sostituito questa prima esperienza di “gruppo di pari”, ma non è stato così, mi è mancato l’incontro con gli altri genitori. Le educatrici di Anna non si sono mai pronunciate né a favore né contro l’allattamento prolungato, ma io ho sempre sentito un forte disagio in loro nell’affrontare l’argomento. A volte ho avuto l’impressione che mi ammirassero perché continuavo ad allattare Anna, altre volte invece ho sentito che questo sarebbe potuto essere un problema.

Tra i genitori mi sono sempre sentita una mosca bianca, una un po’ “strana”, il primo anno (trenta bambini iscritti tra i nove mesi e i tre anni) eravamo solo in tre ad allattare, con una siamo diventate molto amiche. Il secondo anno non lo so, forse mi sono sempre vergognata a chiedere!!!

Come ho detto all’inizio ho allattato Anna ovunque, soprattutto i primi mesi, l’ho allattata camminando, tenendola dentro la fascia, in macchina, in autobus, nei negozi, per strada, in aereo, sul treno, nei bar, a riunioni politiche, assemblee, nei corridoi  all’università, un’estate al mare l’ho allattata persino sulla canoa! Non ho mai allattato Anna al Nido, nemmeno nella zona filtro[4], raramente Anna mi ha chiesto di farlo, aspettava di arrivare a casa, e se aveva troppa voglia l’allattavo in macchina prima di partire. Non ho mai chiesto alle educatrici se potevo farlo, ma non l’ho mai fatto.    MARTA

Secondo la testimonianza di un’ educatrice “quando i bambini possono ancora puppare la separazione risulta più addolcita per il bambino e per la madre, si riscontra una minima gelosia tra la madre e il personale del nido, gioia nel ritrovarsi e ciucciare, sicurezza data da questo legame salvaguardato. Le madri stesse usano all’incirca le stesse parole per descrivere i loro sentimenti. Durante il colloquio individuale che si effettua al momento dell’inserimento, si concordano insieme ai genitori i tempi e le modalità dell’inserimento del bambino nel rispetto delle sue abitudini e delle regole di vita al nido. Ci piace essere immaginate come compagne di viaggio che mettono a disposizione il loro bagaglio di esperienza e professionalità per rendere confortevole il cammino del bambino e della sua famiglia. Vero è che ogni viaggio, per quanto piacevole sia, può presentare delle incognite e delle difficoltà e sicuramente l’ingresso al nido nell’immaginario dei nuovi genitori ne è molto ricco. Vero è che il nostro bagaglio non è la borsa di mary poppins, ma la possibilità di utilizzare strategie diversificate e individualizzate ci permette di raggiungere gli obiettivi che riguardano principalmente lo star bene del bambino al nido.”

Una mamma racconta: “Quando andavo a riprendere la mia bambina al nido, dopo il lavoro, era festa. Arrivate a casa ci accoccolavamo tutte e due nel letto, la bimba succhiava e recuperavamo il tempo della separazione in un meraviglioso momento di tenerezza.” E un’altra: “Mi è stato meno difficile lasciare mia figlia al nido la mattina, sapendo che c’era qualcosa di me nel suo corpo”.

 

 

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